Perché Avatar va (comunque) visto

Ho visto Avatar a Natale fuori d’Italia. Doppiaggio permettendo, penso che sia tecnicamente interessante con una storia alquanto ambigua, divisa fra pseudo-difesa dell’ambiente e della cultura indigena e pseudo-machismo (il marine bianco che va a salvare e s’innamora dell’indigena). Ci sono scelte di sceneggiatura a volte un po’ ridicole: è il caso fondamentale del marine ormai in difficoltà di movimento (non ha più l’uso delle gambe) che grazie al macchinario da novello Frankenstein può tornare a camminare e a correre. Tuttavia, neanche il turbinìo di eventi può nascondere svariate assurdità. L’espediente dei ricercatori scientifici ingannati dalle vere intenzioni sfruttatrici della compagnia mineraria è inoltre già visto e rivisto, (per es. Atmosfera Zero, 1981, con Sean Connery) mentre ci sono alcuni personaggi che sembrano imprigionati dai loro cliche (tipo la Sigourney Weaver).
Per il resto, chiudete il cervello e rimanete affascinati dai colori e dalle scene tridimensionali di fantasia.
Che dire a livello didattico? Avatar va visto sia per la realizzazione tecnica che per lo sprazzo di luce che può gettare nell’immaginario oscuro dei nostri alunni e adulti. Come tutti i prodotti simili, il racconto epico cerca di assumere toni universali e paradigmatici validi per molti contesti (specie quelli occidentali), ma mentre ne Il Signore degli Anelli la storia aveva una robusta cornice culturale (Tolkien è stato per decenni professore di filologia anglosassone antica all’University of Oxford), un chiaro contrasto tra luce e oscurità, tra bene e male, in Avatar la lotta è molto più ambigua e diluita, ma questo non ne fa un pregio. Diciamo solo che come la Tv proietta un’idea di realtà che gli spettatori abbiano, anche Avatar da par suo cerca di fare la stessa cosa con l’idea di realtà virtuale che ci può aspettare.
Sarebbe interessante vedere le reazioni al film dei nostri alunni che con videogiochi e mondi virtuali passano molto tempo.

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