L’ammetto, il vulnus da insegnante lo nutro nel sangue e non posso farci niente di serio, se non dare sfogo ai pensieri che ogni tanto s’accavallano.
Seguo il dibattito accesissimo in campo anglo-sassone e dagli USA all’Australia, dalla Gran Bretagna all’India e altro, sembra che vi siano tre questioni all’ordine del giorno (che pure io, nel mio piccolissimo, avvertivo essere importanti):
- L’estensione e la qualità dell’alfabetizzazione digitale (in inglese: Digital Literacy) esistente in Italia;
- L’analfabetismo digitale è figlio dell’analfabetismo emotivo e sociale;
- La disponibilità di risorse educative libere, gratuite (possibilmente) e didatticamente valide.
Le questioni non sono di poco conto e si configurano come quesiti amletici e/o “compitini” per casa, visto il rientro dalle vacanze natalizie.
In primo luogo, c’è da inquadrare l’attività della Fondazione Mondo Digitale, presieduta da Tullio De Mauro, nel Rapporto Livelli di partecipazione alla vita culturale in Italia, riguardante persone dai 18 ai 65 anni e la creazione di una rete didattica a “codice aperto” e a formazione continua, per migliorare il rapporto fra generazioni e combattere l’esclusione sociale a cui spesso sono sottoposte le fasce deboli della popolazione. Padroneggiare gli strumenti digitali per l’inclusione sociale passa attraverso la padronanza della lingua e degli strumenti espressivi.
Un’ulteriore iniziativa la propone Microsoft Digital Literacy. Anche Microsoft sottolinea l’inclusività e l’obiettivo “consiste nell’insegnare e valutare concetti e competenze di base in ambito informatico, in modo da consentire alle persone di utilizzare la tecnologia nella vita di tutti i giorni, per sviluppare nuove opportunità sociali ed economiche per se stesse, le proprie famiglie e comunità.” Anche qui (con un percorso abbastanza articolato e chiaro), preciso, si fa riferimento concreto agli strumenti (tecnici) da padroneggiare, ma la cornice culturale rimane sullo sfondo, perlopiù vaga.
A livello europeo c’è un forte accento sull’alfabetizzazione digitale, che non riguarda tuttavia soltanto l’inclusione. Le competenze in materia di tecnologia dell’informazione e delle comunicazioni sono infatti essenziali per garantire la competitività e la capacità di innovazione dell’economia europea. E’ questo il caso dell’iniziativa dell’UE “i2010 Inclusione, miglioramento dei servizi pubblici e della qualità di vita.”
Io sono modestamente convinto – come Mark Prensky – che la “Tecnologia da sola non rimpiazzerà l’intuizione, il giudizio, le abilità di problem-solving, e un equilibrio comportamentale morale… Ci serve una ‘saggezza digitale’. ”
Penso cioè che aldilà dei tecnicismi, anche di quelli che trovate recensiti in questo mio blog, non basta potenziare l’apprendimento individuale (come propone l’amica americana Alexandra Pickett), ma bisogna potenziare la nostra capacità di ascoltare l’altro e costruire insieme nuove conoscenze, nuove visioni della realtà, integrali, complete (non basate cioè su elaborazioni di dati parziali) ed empaticamente anche con noi stessi. In altre parole, se io non so come usare la cassa elettronica della mia banca è perché non ho cognizione dei suoi vantaggi e non mi voglio abbastanza bene, perché perdo un’intera mattinata a fare poche operazioni, mentre potrei godermi una passeggiata. La stessa cosa ci succede all’ufficio postale, quando abbiamo di fronte un impiegato che platealmente non sa adoperare gli strumenti a disposizione.
In un articolo abbastanza vecchio ormai, apparso su Reset nel lontano 1997, Umberto Sulpasso dichiara che l’analfabetismo digitale diventa anche culturale e si configura come “una bomba annunciata”, per cui è necessaria una specie di Terapia d’urto.
La disponibilità di risorse educative fruibili online e gratuitamente è oggettivamente un problema che attanaglia noi appassionati di sperimentare nuove forme didattiche e strumenti tecnologici. Tenendo bene a mente che anche gesso e libro sono tecnologie della conoscenza importanti, la validità delle risorse suddette è solamente dovuta alla loro disponibilità, alla loro gratuità, alla loro modernità? Insomma, cos’è che fa di una risorsa una buona cosa da sfruttare e arricchire, solo il suo libero sfruttamento, il numero di Tags, di “amici” che seguono?
Ecco, questi sono i quesiti-compitini che mi frullano per il momento…